Quando non sono le calamità naturali a danneggiare i produttori olivicoli italiani e pugliesi in particolare (come la Xylella dell’ulivo, o malattie stagionali dannose solo per il frutto, quale l’attacco da insetti), ci pensa l’Unione europea. Infatti, quest’anno che la produzione italiana di olive, e quindi di olio, si presenta particolarmente abbondante e sicuramente di ottima qualità, poiché le condizioni stagionali adeguate e la quasi assenza di fenomeni fitosanitari negativi, quali per l’appunto la mosca olearia o la tignola, hanno fatto sì che l’imminente stagione olearia potesse essere un’annata particolarmente proficua per gli operatori del settore, a danneggiare l’economia del comparto è intervenuta la Commissione europea, che un settimana fa ha avviato l’iter per autorizzare un accesso supplementare di olio d’oliva tunisino nel mercato Ue. La Commissione di governo dell’Europa giustifica tale decisione col fatto che le eccezionali contingenze internazionali imporrebbero all’Ue di intervenire a supporto dell’economia del Paese nordafricano, per evitare che una depressione economia in Tunisia possa provocare possibili ripercussioni negative interne ed esterne a quella nazione extra comunitaria, ma molto vicina all’Europa, con complicanze internazionali e, in particolare, con conseguenze indesiderate per i Paesi europei. Fin qui l’alibi giustificativo della decisione dell’Ue di incrementare di ulteriori 35mila tonnellate l’importazione di olio d’oliva tunisino che, secondo una precedente convenzione, è già presente sul mercato europeo con una quota di ben 57mila tonnellate esente da dazio. Però, c’è da chiedersi: “una scelta del genere, in un settore così delicato e rilevante dell’agricoltura italiana e comunitaria, come quello dell’olio d’oliva, può avvenire ancora una volta senza effettivamente valutare quali saranno le ricadute negative per chi in Europa (ma in questo specifico caso in Italia e soprattutto in Puglia, dove l’olivicoltura rappresenta la principale voce del comparto produttivo agricolo) opera e ricava reddito per la propria impresa e le rispettive famiglie?”. Ancora una volta, infatti, le negoziazioni dell’Ue considerano come “merce di scambio” i prodotti dell’agricoltura, dove guarda caso le produzioni che più sono penalizzate risultano essere sempre le stesse (olio e grano) e l’Italia che in tali produzioni eccelle per quantità e qualità finisce ancora una volta per essere trattata come la “cenerentola” d’Europa. Infatti, decisioni così gravi ed importanti, come quella adottata una settimana fa dalla Commissione europea di importare dalla Tunisia un ulteriore e rilevante quantità di olio d’oliva che danneggerà sicuramente il mercato interno ed estero dell’Italia, prima di essere adottate, avrebbero dovuto tenere conto dell’impatto economico, oltre che delle misure da adottare per gli operatori del settore al fine di impedire che i “vantaggi” politici internazionali che tale decisione dovrebbe apportare ai Paesi europei non avvengano ancora una volta a discapito degli olivicoltori italiani e, in particolare, meridionali. Da non dimenticare che proprio il settore olivicolo italiano di recente ha subito un ulteriore colpo dalla riforma della Pac (Piano agricolo comunitario) che per gli aiuti comunitari privilegia le produzioni agroalimentari dei Paesi membri del nord ed est Europa, penalizzando fortemente invece quelle tradizionali, olivicoltura in primis, delle nazioni mediterranee dell’Unione, come Italia, Grecia e Spagna. Infatti, già da quest’anno parte il nuovo sistema di calcolo del pagamento degli aiuti integrativi a produttori olivicoli italiani che, in base alla nuova Pac, risulterà in media decurtato del 42% rispetto a quello erogato precedentemente. Per cui l’unico rimedio compensativo alla diminuzione dell’aiuto integrativo comunitario è quello che sarebbe derivato da maggiori ricavi nella vendita del prodotto ottenendo con una sorta di “bonifica” e “moralizzazione” del settore con l’eliminazione, o quantomeno una drastica riduzione, di sofisticazioni e concorrenza sleale facilitate e provocate dalle ingenti quantità di olio d’oliva importate da Paesi extraeuropei. Importazioni che, come è noto, falsano il mercato dell’extra vergine d’oliva di qualità, sia interno che internazionale, perché né i controlli, né tantomeno la legislazione nazionale ed europea sono finora riusciti realmente a mettere ordine nella commercializzazione dell’olio extra d’oliva di qualità. E, soprattutto, a garantire chiarezza ai consumatori che, tutt’oggi, sono frastornati dalla farraginosità delle sigle e dalle tante diciture, previste dalla legge, per le etichettature delle diverse qualità e tipicità di olio extra vergine d’oliva. Situazione, questa, che genera ancor più confusione nel consumo di massa del prodotto, che alla fine è quello che determina l’andamento effettivo del settore. La notizia che la Ue si accinge ad autorizzare l’ingresso sul mercato interno di ulteriore olio d’oliva tunisino ha suscitato come al solito una valanga di proteste, interrogazioni e comunicati da parte di rappresentati politici ed istituzionali nazionali e, in particolare pugliesi, oltre che dei diversi rappresentati di categoria del settore agricolo. Ma saranno sufficienti queste azioni a sortire da sole un qualche risultato positivo per il comparto? In passato, quasi sempre, è accaduto che tali azioni sono servite solo come atto propagandistico per chi in una regione, come la Puglia, a forte vocazione olivicola non poteva di certo esimersi, almeno a parole, di prendere le difese di una categoria produttiva che sul piano elettorale potrebbe contare su numeri consistenti, ma che da tempo invece non è più in grado di rappresentare il peso che realmente potrebbe esprimere. Ben che vada, anche questa volta, in cambio del consistente danno economico che subiranno alle loro tasche dall’importazione di ulteriori 35mila tonnellate di olio tunisino, i produttori olivicoli italiani potrebbero essere tacitati dall’elargizione di qualche “piccola elemosina” contributiva dell’Ue. Elargizioni che, senza alcun problema, saranno quasi sicuramente messe anche, o soprattutto, a disposizioni delle Organizzazioni che controllano il mondo rurale nazionale. Invece, sarebbe forse giunto il momento che, sia le rappresentanze istituzionali che sindacali di categoria, per quanto riguarda questo genere di problematica non si limitassero più unicamente alla pura “propaganda” politica, per raccattare sia consensi nelle campagne elettorali, sia per stilare, di volta in volta, compromessi al ribasso finalizzati a raccattare qualche “briciola” agli olivicoltori italiani, in cambio della “svendita” del settore, ma che almeno per una volta, negli accordi ai tavoli istituzionali, dalle parole si passasse ai fatti concreti. E quindi ad una reale e duratura tutela dell’extra vergine d’oliva e di chi lo produce.
Il M5S non sta a guardare e produce subito una interrogazione alla Camera:
Fonte Articolo
Questa é la risposta della nostra portavoce Rosa D'amato al Parlamento Europeo:
RispondiElimina"UE, D’AMATO (M5S): FERMARE AUMENTO IMPORT OLIO TUNISINO
Rosa 23 settembre 2015 1 Commento 501
“L’Ue non fomenti guerre tra poveri.E’ giusto aiutare la Tunisia, ma è sbagliatissimo farlo sulla pelle degli agricoltori europei”. Lo afferma l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle, Rosa D’Amato, commentando la proposta della Commissione europea di aumentare la quota di olio di oliva importata in Europa dalla Tunisia, portandola a 35mila tonnellate. “In un momento cosi’ drammatico per i produttori italiani, a partire dagli olivicoltori pugliesi colpiti dalla Xylella – continua l’eurodeputata – non si puo’ pensare di concedere alla Tunisia un’ulteriore quota di export di 35mila tonnellate. Saro’ la prima a chiedere un maggiore impegno dell’Ue a favore del paese africano, ma saro’ anche la prima, al Parlamento europeo, a fermare questa proposta della Commissione”.
“Capisco la necessità di aiutare un paese colpito duramente dagli attentati terroristici – conclude l’eurodeputata tarantina – ma l’olio non è la risposta. Si trovino altri canali e si pensi ad aiutare l’export dell’olio pugliese, messo in ginocchio anche per colpa di misure su cui l’Ue ha più di una responsabilità”.